Editoriale 15 Maggio 2024

Sono stato assente qualche giorno lo sò, d'altronte gli impegni sono molti, i Campionati  Europei, le lauree, il lavoro ecc ecc. Abbiamo bisogno di campioni questo è il motto, champion, campioni con C maiuscola. Il pubblico generaliasta ha ripreso a seguire il ciclismo, come un tempo, il Giro d'Italia che ti passa sotto casa, che ti fa appostare al freddo e al gelo di un passo di montagna per veder passare Pogacar proprio come lo si faceva per quel Pirata. Marquez è una goduria ragazzi, vincerà? Non vincerà? E' sempre lui l'uomo da battare in attesa che arrivi Acosta ma si parla sempre e solo di lui. Per elevarci dalla mediocrità del mondo, del momento abbiamo bisogno di puntare in alto, guardare in alto che sia il soffitto di una Cappella Sistina, un romanzo capolavoro da leggere tutto d'un fiato, uno sportivo o un disco poco conta. La vita, quella vera, risiede da quelle parti lì o giù di lì.

Luca Bartoli

Un Colpo Di Fortuna R:Woody Allen (2023):

Primo film di Allen girato in Francese (non in Francia), la pellicola è in sostanza una commedia dalle forti tinte black, cupissima per certi versi ma splendida che rimanda a Match Point e a Crimini e Misfatti ma anche a Omicidio a Manhattan soprattutto per il ruolo della madre della protagonista, una strepitosa Valérie Lemercier. Gli attori qui sono tutti notevoli ma a lasciare a bocca aperta è l'incredibile fotografia di Vittorio Storaro, sempre ricercatissima e capace di dare lustro a questi personaggi ricchissimi che non hanno nulla da dire se non spettegolare dalla mattina alla sera, ed è bravissimo qui Allen nella scrittura dei dialoghi. Woody Allen nonostante i suoi quasi novant'anni non ha perso lo smalto e sembra ancora ricordarci che bisogna cogliere l'attimo, tra tematiche care all'autore come l'adulterio, l'amore e la gelosia. Allen qui più che risposte pone domande, sono piuttosto i protagonisti a dare le risposte che non è detto che siano quelle giuste perché l'unica cosa davvero certa è il ritmo di questa pellicola, perfetto grazie ad un montaggio magistrale e ad una colonna sonora pregevole. Un film che non sarà il migliore di Allen ma che scorre via senza mai annoiare, diverte e ci fa riflettere soprattutto su noi stessi. voto 3.5/5

 

Killer Of The Flower Moon (2023) Regia di Martin Scorsese

Lo dico senza mezzi termini avevo detestato The Irishman (2019), quella computer grafica usata per ringiovanire Pesci e De Niro era non solo orribile ma anche di cattivo gusto. Inoltre la pellicola l'avevo trovata un rimasuglio di scarti poco ispirati. Killer Of The Flower Moon è invece il capolavoro che ci si aspettava da tempo e sono contento di averlo comprato su formato fisico (quanto dureranno ancora?) come fosse un cimelio da tramandare ai posteri. Storia vera di indiani uccisi e defraudati con un De Niro talmente stellare da far apparire il suo personaggio più viscido di una rana. Il solito Di Caprio fa il suo e una stupefacente Lily Gladstone meritava un Oscar per l'intensità messa in alcune scene. Durata imponente, quasi quattro ore per un'opera che andrà vista più volte, studiata (la regia è fenomenale) anche solo per ascoltare una colonna sonora sorprendete e azzeccatissima in ogni momento. Scorsese ci riconsegna in mano il cinema, un canto del cigno che ci ricorda l'importanza della settima arte e dell'arte in generale, che a volte ci disturba e ci fa star male, come in questo bellissimo film quasi a sussurrarci che l'uomo non è buono, non lo è oggi non lo è mai stato e forse non lo sarà neppure domani. Capolavoro 10/10

Ora vi racconto una storia che sono sicuro la maggior parte di voi non conoscerà, quasi una fiaba potremmo dire, una magia: quando Joe Strummer (leader e cantante dei Clash) era ancora vivo, proprio nel suo ultimo periodo prima di volare nell’altra dimensione, aveva una Caddilac gigantesca con il portabagagli strapieno di casette musicali con cui girava per la California. Aveva una missione il vecchio Joe, fare una sintesi di tutta quella musica fino ad arrivare ad una sola cassetta. Così incontrava i suoi amici, tra cui il produttore Rick Rubin e gli diceva: << sto gettando via molta musica e quando mi rimarrà una sola cassetta, allora potrò morire in pace perché in Paradiso non si può entrare con troppa roba!>>. Joe giro’ la California in auto e tra un falò e l’altro, tra una visita ad un amico e a qualche amore dimenticato riuscì a ridurre di parecchio la sua collezione; un giorno andò da Rick e gli disse: << mi è rimasta una sola cassetta, questa è la musica definitiva e da adesso in poi potrò ascoltare soltanto questa! >>. Rubin esterrefatto volle vedere di cosa si trattasse e così scoprì l’artista ANDRES LANDERO; l’ultima grande scelta del suo amico Joe Strummer era ricaduta su un misterioso musicista colombiano.Il giorno dopo Joe Strummer morì d’infarto all’età di 50 anni.

Mi sono trovato di fronte ad un surrealismo nuovo, originale e inedito, lontano da tutte le tradizioni. È totalmente David Lynch. Guardandolo ho capito davvero cosa fosse un vero artista, cioè qualcuno che è se stesso e mostra la sua realtà per come la vede (David Foster Wallace)

Mi rendo conto di quanto io ami profondamente gli anni 90, soprattutto nel cinema meno nella musica. Gli anni di Tarantino certo (di cui però ho amato solo i primi tre film!), ma sopratutto il decennio di Takeshi Kitano enorme cineasta che sfornò una serie di capolavori uno dietro l'altro da far impallidire anche Kubrick (Hana-bi, Il silenzio sul mare, Sonatine ecc.). Gli anni di 90 sono stati però anche gli anni di Jim Jarmusch che pur essendo un artista che iniziò negli anni 80 ebbe il suo apice proprio nell'epoca grounge con robetta del calibro di "Taxisti di Notte" ma soprattutto "Dead Man". Jarmusch mi fà però ricordare di un'altra perla, che in qualche modo riprende le atmosfere del regista di "Daunbailò" e se possibile espande ancora di più un'idea di cinema per certi versi "naif" che trasuda arte ad ogni inquadratura. Mi riferisco al capolavoro dell'ormai scomparso (artisticamnete) Vincent Gallo ovvero "Buffalo 66", opera prima e in parte autobiografica che folgorò e non poco tutti gli appassionati di cinema in un 1998 davvero gonfio di grandi uscite.

Mark Hollis - Mark Hollis 1998

Non perdonerò mai del tutto i presunti appassionati di musica che in un modo o nell’altro hanno contribuito a far sparire i negozi di dischi, luoghi di cultura dove un tempo si potevano scoprire opere meravigliose come l’omonimo e unico lavoro di un genio “pop”, forse incompreso, forse troppo profondo. Lontanissimo dai primi Talk Talk di cui era leader e voce, qui Hollis si trova più dalle parti di Peter Gabriel e David Sylvian per andare se possibile ancora oltre e consegnarci un’immensa opera d’arte che può rivaleggiare tranquillamente con i lavori più ispirati di Robert Wyatt o Nick Drake. La voce è profondissima, musicalmente siamo su territori di jazz minimale anche se gli strumenti usati sono moltissimi : tromba, clarino, corno inglese, chitarre, piano, harmonium, basso, batteria, percussioni, armonica, fagotto…  un disco eccellente come la struggente The Colour Of Spring messa in apertura o la monumentale Inside Looking Out. Ma la verità è che qui ogni momento è prezioso, mai banale e ascolto dopo ascolto si percepisce qualcosa di nuovo e incantevole. Un lavoro che non potrà sparire dentro la banalità di questi tempi moderni e che a distanza di quasi trent’anni

La mia generazione Grunge, ultimo baluardo rock senza like e senza click. Nevermind, Jeremy e quel Corvo di Alex Proyas. Le strade perdute di Lynch e i negozi di dischi da esplorare con le videocassette da duplicare perché i soldi erano sempre troppi pochi per i ragazzi famelici. La Ferrari di Shumi che ci mise 5 anni prima di riportare l’iride a casa e quella sfida con Villeneuve nel 97, il sorpasso di Hakkinen sotto il diluvio due anni dopo. Poi c’era Tyson che sembrava l’uomo più cattivo del mondo, galera, orecchie strappate a morsi ma in realtà era soltanto un ragazzo depresso, come tanti. Maradona e quel rigore sbagliato di Baggio e anche Tomba non è che scendesse giù tanto piano da quelle montagne. La mia generazione che sembrava così deflagrata in realtà con il passare del tempo appare piena, quasi logorroica. Chi ha vissuto intensamente quegli anni affollati non potrà allora non riconoscere nel MITO, unico e unificatore quella figura per certi versi così poeticamente anni 90 di MARCO PANTANI. Il nostro James Dean, Lennon, Ali... quella sfida al tour nel 2000 contro l’americano, con un pirata ormai già minato da vizi, fantasmi e mostri rimarrà sempre nel cuore di chi c’era.

pensare che si vive in un mondo di stolti è un tipico pensiero da stolti

 

Nel mio lavoro, in alcuni momenti pieni di commozione ho capito che tutto nasce dalla famiglia: i guerrieri, l’ebbrezza dei sogni, le sfide e forse l’immortalità. I genitori che amano le creature che hanno messo in questo mondo, che non li ostacolano nel perseguire l’incanto del sogno, fosse anche l’ebbrezza del pericolo, sono ricchezze, sono sorgenti di ragazzi speciali. La famiglia è la sorgente del sogno, la culla del sogno.

I Depeche nel 1989 si distaccarono molto dall'idea platonica di Dio, che nel suo personale universo metafisico non comprendeva appunto un Dio personale ma solamente il Divino (con la relativa accezione che il maestro dava a tale ternine: divina è l'anima, divine sono le idee, le stelle ecc). Detto ciò che capolavoro che fu quel tanto amato (da me e da altre 6 milioni di persone) Violator.